La guerra economica: Andamento economico russo nel primo semestre del 2023

LA GUERRA ECONOMICA

Andamento economico russo nel primo semestre del 2023: previsioni positive per il PIL e l'inflazione

Al termine del primo semestre del 2023 è possibile riaggiornare i dati dell’andamento dell’economia russa, anche in considerazione della pubblicazione del nuovo budget del ministero delle finanze e delle nuove proiezioni pubblicate dalla banca centrale.

Queste, sono tutte migliorative rispetto alle previsioni fatte verso la fine del 2022, che prevedevano, ad esempio un blando restringimento del PIL tra lo 0,5% e l’1%, laddove invece, confermando le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, le autorità russe tornano già a vedere un andamento positivo per il PIL nel 2023 (+0,7% per il FMI, +0,8% per la banca centrale russa), a seguito di un 2022 chiusosi con una recessione molto mitigata di appena il -2,1% (meno di quanto accadde nel 2014 con l’annessione della Crimea).

In miglioramento anche le aspettative di inflazione, ribassate al 5,5% dal precedente 5,9%, anche se la frenata potrebbe essere ancora più brusca visto che l’indice a maggio si è fermato ad un mero 2,5%, ben sotto l’obiettivo programmatico del 4%. Da ricordare, per altro, che i tassi ufficiali della banca centrale sono fermi al 7,5%, il che significa avere tassi reali positivi (dati dalla differenza tra tasso nominale e tasso d’inflazione), a differenza di quanto avviene in Occidente. Ciò significa che la banca centrale dispone di spazio di manovra per rivedere al ribasso i tassi nel caso in cui si ritenga necessario stimolare l’economia in un prossimo futuro.

In ogni caso, l’inflazione sembra scarsamente influenzata dal nuovo scivolamento del rublo che si è avuto dalla fine dell’ultimo trimestre del 2022 e nel corso del primo semestre del 2023, dovuto alla moderazione dei prezzi dei beni energetici e alla rimozione di alcune restrizioni sul mercato dei forex. Il cambio col dollaro si aggira attorno agli 80 rubli per dollaro, contro il cambio di 70 rubli per dollari anteguerra, in ogni caso, la drastica riduzione delle importazioni (determinata paradossalmente proprio dalle sanzioni), impedisce che una svalutazione del rublo si possa tradurre in effetti significativi in termini di aumento dell’indice dei prezzi. Si resta in ogni caso lontanissimi dal cambio “200 rubli per dollaro” auspicato da Biden a marzo 2022.

Il tasso di disoccupazione, resta decisamente basso, ovvero al 3,6%, coincidendo con gli obiettivi programmatici, complice anche la domanda di manodopera effettuata dall’industria bellica e dalle forze armate.

Ci sono alcune differenze, come è normale che accada, tra i numeri forniti dal ministero delle finanze e quelli della banca centrale, in particolare sull’incorporazione dei prezzi del petrolio: il ministero, più ottimista, stima un prezzo medio di 75 dollari al barile, mentre la banca centrale si limita ad un più credibile 56 dollari al barile.

In ogni caso, anche prendendo in considerazione solo i numeri conservativi della banca centrale, il dato che forse più sorprende di tutti è la capacità della Russia di condurre la guerra in sostanziale pareggio di bilancio: mentre nel 2021 la Russia ha chiuso il suo budget con un surplus dello 0,8% sul PIL, nel 2022 ha appena segnato un -1,4% di deficit, prevede un -2,7% nel 2023, -1,7% nel 2024 e -1% nel 2025, per poi tornare a segno positivo o al pareggio sostanziale negli anni successivi. Il tutto a fronte di un rapporto debito/pil di poco superiore al 17%. Numeri che, secondo il metro di giudizio del rigorismo di bilancio, fanno impallidire i più rigorosi “virtuosi” mitteleuropei.

In questo contesto sono stabili anche le scorte patrimoniali di riserve ufficiali controllate dalla banca centrale, che si aggirano per un controvalore di circa 600 miliardi di dollari, di cui il 55% congelate e sotto sanzioni, ma anche la quota libera, costituendo un 20% di PIL, fornisce alla Russia un notevole “cuscinetto di sicurezza” nel caso vadano aumentate drasticamente le spese sociali o militari. A queste si aggiungono poi altre riserve, per un controvalore di circa 150 miliardi di dollari del fondo sovrano controllato dal ministero delle finanze, attivabili per superare il deficit programmato del 2,7%, nel caso si dovessero ridurre le entrate fiscali o le entrate da esportazioni (in particolare in caso di un andamento negativo del prezzo del petrolio).

Manca, comprensibilmente visto il periodo, nel nuovo budget pubblicato dal ministero, il dettaglio delle voci di spesa, se ne può avere una cognizione solo per le voci aggregate e si può notare che il comparto “difesa e sicurezza” passa dal 24% della spesa totale dello Stato al 33%. Una progressione piuttosto moderata, considerando l’ampiezza dello sforzo bellico.