La guerra economica: le sanzioni, Putin e gli oligarchi

LA GUERRA ECONOMICA

Le sanzioni, Putin e gli oligarchi

Un tema ricorrente quando si parla di Russia è sempre e invariabilmente quello degli oligarchi e in particolare del loro rapporto col presidente Putin.

Come noto, soprattutto nel corso dei primi mandati presidenziali di Putin, gli oligarchi hanno subito una forte “rimessa in riga” da parte del presidente, col quale, poi è andato definendosi un diverso modus vivendi.

Putin e la “rimessa in riga” degli oligarchi

Sebbene Putin avesse dichiarato che gli oligarchi sarebbero “spariti come classe”, facendo eco ad una dichiarazione di Stalin che promise di eliminare i kulaki “come classe”, questi sono evidentemente sopravvissuti ma comunque al prezzo stabilito dall’inquilino del Cremlino.

Essenzialmente Putin promise agli oligarchi che avrebbero potuto trattenere le loro ricchezze accumulate durante gli anni ‘90, senza indagini o interferenze pubbliche, ma fatte salve alcune condizioni dirimenti.

Le condizioni imposte agli oligarchi da Putin

In primo luogo, doveva finire l’interferenza degli oligarchi con le scelte politiche di Mosca, finivano i tempi di Eltsin in cui gli oligarchi camminavano liberamente e da padroni nei corridoi del Cremlino scegliendo i nomi di ministri e governatori.

In secondo luogo, lo Stato si sarebbe riappropriato di quei settori che reputava strategici, ovvero essenzialmente tre: i media, l’industria della difesa e l’industria degli idrocarburi. Agli oligarchi la scelta di accettare e di rivendere le società e pacchetti azionari a prezzi di mercato (quindi con guadagni colossali rispetto ai risibili investimenti iniziali) allo Stato, come fece ad esempio l’astuto Abramovich o di opporsi, scegliendo di vedere le proprie azioni espropriate dallo Stato e di essere condannati a pene detentive o all’esilio, come accaduto ai meno astuti Berezovsky e Khodorkvsky.

In terzo luogo, tornare a contribuire al bilancio pubblico tornando a pagare le imposte sui ricavi ottenuti in Russia.

In ultimo luogo, anche se a questo riguardo ovviamente non ci sono prove certe, è abbastanza verosimile che Putin e gli uomini della sua cerchia abbiano preteso anche dei trasferimenti, tramite un sistema di prestanomi e di società coperte, di quote di partecipazione nelle aziende detenute dagli oligarchi, con relativo versamento di parte degli utili delle stesse.

Ovviamente, secondo i più stretti canoni della mentalità da culto “stato di diritto”, di fronte ad una pratica simile, laddove di fatto si crea una zona di confusione tra quello che è il patrimonio privato del capo dello stato e del patrimonio pubblico, dovremmo stracciarci le vesti e gridare allo scandolo, denunciando l’infamia della cleptocrazia, dei diritti violati, dell’abuso di potere etc.

Il sistema di potere di Putin e il controllo sugli oligarchi

Allargando però lo sguardo della questione dobbiamo ravvisare che gli stretti parametri legalistici occidentali dello “stato di diritto” sono una produzione solo piuttosto recente dell’Occidente e che, tacitamente, mascherano e difendono una visione del mondo in cui, tutelato dallo schermo di leggi e dei diritti, il potere economico e il libero spirito mercantile, possiedono lo Stato, ne dettano gli orientamenti e informano tutta la società ai propri principi.

La Russia di Putin, in questo, semplicemente, regredisce (o riscopre, progredisce, dipende solo dai punti di vista) ad un sistema neofeudale e neozarista, degno di un pieno ritorno dell’ancien regime in epoca moderna, dove, per l’appunto il patrimonio del sovrano e quello della nazione tendono a confondersi e il patrimonio del sovrano serve certo, collateralmente, al sovrano a vivere in sforzosi palazzi ma anche e soprattutto a garantirgli un efficace controllo sulle ricchezze e un’autonoma potenza di manovra economica.

Francamente sembra di rivivere dopo duemila anni il fenomeno di accentramento di potere politico, ma anche economico operato da Ottaviano Augusto che poneva fine all’anarchia della repubblica romana del primo secolo a.c. e lo faceva divenendo anche “patrono dei patroni”, razziando i patrimoni delle famiglie dei nemici politici proscritti, incamerando la ricca provincia dell’Egitto a titolo di proprietà personale, attribuendosi la proprietà dei frutti di tutte le risorse del sottosuolo (e quindi dei proventi di tutte le cave e miniere) e così via con altri provvedimenti di tale tenore. Certamente tutto ciò avrà arrecato ad Ottaviano Augusto formidabili ricchezza, tuttavia nessuno, se non il più bieco spirito privo di senso storico pensa di attribuirgli l’etichetta miserrima e questurina di “cleptocrate”.

Detto tutto ciò, non ci si sorprende se, a sanzioni applicate, non c’è stata alcuna rivolta degli oligarchi contro Putin.

Visti i legami (più o meno occulti e più o meno imposti) di Putin con le aziende degli oligarchi, il cui chiaro interesse economico li porterebbe a richiedere una cessazione immediata delle ostilità, uno sblocco dei propri patrimoni sanzionati in Occidente e una ripresa degli affari in libertà senza le sanzioni, hanno permesso al Cremlino di controllarne gli interessi, impedendogli di coalizzarsi come un possibile centro di resistenza interno allo Stato. 

Come ha ripetuto più volte Putin nel corso dell’ultimo anno in vari discorsi pubblici, gli oligarchi devono scegliere se stare con l’Occidente dove hanno i propri yacht e le proprie ville sequestrate o con la Russia, (in modo irrisorio ha detto che “a nessuno importa se vi hanno sequestrato uno yacht” né in Occidente, né in Russia). Il sistema di potere costruito da Putin sembra rivelarsi efficace affinché questi ultimi, nonostante le perdite economiche, siano forzati per optare per la seconda ipotesi.